Noleggiata a Darwin un’altra Toyota Corolla, partiamo per un itinerario di circa 1100 chilometri nel “Top End”. Questa è la regione più a nord dell’Australia, non distante dall’equatore e sottoposta a un clima monsonico che concentra le piogge di solito tra gennaio e marzo con conseguente straripamento dei fiumi, e che sostiene un ecosistema di pianure alluvionali, paludi e foreste.
Il Kakadu National Park, nome derivato dalla tribù Gagadju, e un’area grande quasi quanto la Lombardia, percorsa da due “highways” che si incontrano in una piccola
località di nome Jabiru.
Al centro visitatori “Window on the Wetlands” un pannello illustra il percorso compiuto dall’antenato dingo e dall’antenato tartaruga quando crearono il paesaggio
durante il tempo della creazione (o “del sogno”). Per decine di chilometri si guida attraverso una suggestiva foresta, che però dopo un pò è...sempre uguale, anche
perché le aree paludose sono spesso nascoste alla visuale di chi viaggia in auto. Viaggiare in Australia può diventare monotono, quando ci siamo abituati ad un
paesaggio decisamente inconsueto per l'Europa. Dove una breve deviazione si affaccia su una palude si possono vedere alcuni dei molti uccelli acquatici che vivono qui.
Nel Parco vivono i più grandi coccodrilli e pitoni australiani, i primi arrivano a 6-8 metri di lunghezza e i secondi poco meno, ma camminando lontano dall'acqua si
è fuori dal loro habitat. Rimane da fare attenzione ad alcuni tra i serpenti più velenosi del mondo ma se non si corre questo rischio, molto debole sui sentieri più
frequentati, in questo Paese non ci si muove. Talvolta un canguro attraversa la strada prima di sparire nella foresta. Dove il bosco è meno fitto ci sono numerosi
termitai, spesso più alti di un uomo, ne abbiamo visti migliaia e ce ne saranno milioni. Ai bordi della strada abbiamo visto almeno quattro auto abbandonate, oltre
ai resti di numerosi pneumatici, si vede che da queste parti si usa così.
Ubirr Rock e Nourlangie Rock sono due classiche mete del turismo nel Kakadu.
Ubirr Rock e' una struttura rocciosa facente parte di una scarpata che segna un vecchio margine continentale. Nelle sue pareti e anfratti c’è una delle più famose
gallerie d’arte aborigena e dalla sua cima si ha un ampio panorama. Il sentiero di visita è lungo 1,5 km e ci impegna per circa 1 ora e mezza tenendo conto che bisogna
anche fermarsi a vedere le pitture. Le mosche sono ancora più numerose che a Uluru, per fortuna abbiamo le reticelle che coprono il volto.
Dopo un breve tratto in foresta, si vedono i vari dipinti, alcuni dei quali hanno migliaia di anni. Raffigurano, tra gli altri, animali tradizionalmente oggetto di
caccia e pesca (canguro, tartaruga, pesci … ), il tilacino estinto in Australia da almeno 1000 anni, la vicenda di una ragazza che scatenò una guerra tribale infrangendo la
legge e il serpente arcobaleno. Quest’ultimo è uno degli antenati più importanti nella tradizione di tanti popoli aborigeni, è responsabile della creazione di vaste
porzioni di territorio e quando si sveglia genera le piogge monsoniche.
Ubirr Rock si sale per gradini di roccia, arrivando a una quota di circa 50 metri, misurati dal mio altimetro. Verso sud si possono vedere
strutture come Ubirr e di pari altezza, profondamente incise dall’erosione, mentre guardando verso gli altri tre lati si estende una pianura alluvionale.
A oriente c’è l’Arnhemland, un territorio grande circa un terzo dell’Italia amministrato dagli aborigeni che vi ammettono un numero limitato di visitatori a loro insindacabile
giudizio. Per dirla con Chatwin, gli aborigeni avevano bisogno dello “spazio in cui poter essere poveri, se poveri volevano essere”. E prendendo le parole di uno di
loro: “Nel tempo che noi chiamiamo Burr, spesso chiamato Tempo del Sogno, gli antenati ci diedero le regole per un giusto comportamento”. In base alle mie letture,
oltre a regole sensate, rilevo anche regole che francamente mi sembrano irragionevoli.
Nourlangie Rock è un’altra scarpata rocciosa sulla quale gli aborigeni hanno impresso la loro arte.
Il sentiero alla base di Nourlangie Rock si snoda tra la foresta
e la parete, che in basso è di conglomerato e in alto è di arenaria. In alcuni tratti assomiglia a un sentiero di montagna tracciato sui sassi e con un tappeto di
foglie secche. Un percorso di 1,5 km porta a visitare i maggiori siti di arte rupestre, nel settore ai piedi della parete chiamato Anbangbang. Alcune dei disegni
sono esempi della cosiddetta “arte a raggi-x” perché viene dipinto lo scheletro del soggetto.
Nel corso del giro, una deviazione con una breve salita porta al punto panoramico Gunwarddehwardde, dove si ha alle spalle la scarpata e di fronte la foresta che si
è appena attraversata in auto e che da qui sembra non finire mai.
Il Centro Culturale aborigeno di Warradjan ci sembra ben fatto e illustra vari aspetti della vita degli abitanti tradizionali. Un’anziana spiega che le dispiace vedere la sua terra diventare un parco divertimenti per turisti. Un marchingegno illustra le regole che governano i matrimoni “misti” tra le varie tribù, cioè quelli permessi e quelli proibiti. Viene spiegato che ogni aborigeno conosce la lingua della sua tribù, poi almeno una di quelle delle tribù confinanti così che non è mai la sua prima lingua e talvolta neanche la seconda.
Dopo aver dato una rapida occhiata alle paludi di Yellow Waters, riuscendo però a scorgere alcuni uccelli acquatici, usciamo dal Kakakadu National Park percorrendo la Kakadu Highway verso sud-ovest in direzione di Pine Creek. La strada è sempre ampia e asfaltata, tutta a curve in mezzo alla foresta. Alla roadhouse di Mary River appena fuori dal Parco mangiamo hamburger, tradizionale piatto locale. Da Pine Creek, un piccolo villaggio sulla importantissima Stuart Highway, proseguiremo verso Katherine il Nitmiluk National Park.