Questa salita, che ha segnato il mio ritorno sui quattromila dopo una pausa di tre anni, è stata pensata e fortemente sponsorizzata dall'amica Silvia perché io festeggiassi i miei 50 anni con una bella escursione alpinistica. Finalmente il Gran Paradiso: dopo averlo visto per quarant’anni ora sembra arrivato il momento giusto per salirlo. Il tempo di lunedì, ultimo giorno di queste mie ferie, si annuncia perfetto e così domenica pomeriggio con Silvia salgo al rifugio Chabod. Prenotando il pernottamento mi sono trovato bene con i gestori e il soggiorno conferma la prima impressione.
La mattina, prima di tutti gli altri ospiti, partiamo dal rifugio Chabod. Prendiamo il sentierino che scavalca il ruscello e sale sulla morena.
Poco prima che la morena termini contro il ghiacciaio, degli ometti e la traccia ci guidano a destra verso il centro del vallone
occupato dal ghiacciaio di Lavacieu. C’è ancora buio quindi talvolta cerchiamo gli ometti puntando in giro la frontale.
Raggiunto il ghiacciaio indossiamo ramponi e ghette mentre comincia a schiarire. Davanti a noi abbiamo la parete nordovest
del Gran Paradiso, sulla sua destra il ghiacciaio che dobbiamo salire verso la “schiena d’asino” dove incontreremo le cordate
che salgono dal rifugio Vittorio Emanuele.
Io punto ad una evidente traccia che risale il pendio di neve verso destra. Una riflessione in più mi avrebbe suggerito che
non è quella che avevamo visto dal rifugio che invece si teneva al centro. Nel primo tratto il ghiacciaio è pianeggiante,
cerchiamo delle tracce, le troviamo e portano a quelle che avevo visto poco prima. Ci leghiamo in cordata. Dopo la prima rampa
però ci accorgiamo che la traccia principale è un’altra e si tiene al centro del ghiacciaio. Decidiamo di proseguire lungo
questa “variante” fiduciosi che ci porterà fuori dalla zona crepacciata tenendosi sulla destra. Così avviene e facendo un po’
di attenzione aggirando o superando qualche crepaccio sbuchiamo su un pianoro di neve dove una evidente pista riporta su quella
centrale. La seguiamo e ricominciamo a salire. Fin qui ho pensato “Se oggi salgo sul Gran Paradiso è un peccato che non ho
le ferie per tentare subito il Monte Bianco”. Su alcune pendenze più marcate del ghiacciaio di Lavacieu faccio fatica e
abbandono ogni velleità di Monte Bianco.
La "schiena d'asino" è un tratto di cresta nevosa a circa 3600 metri percorso dalle cordate che salgono dal rif.Vittorio
Emanuele. Noi arriviamo nel punto in cui termina e il panorama ricompensa dalla fatica. Il tempo è perfetto e si vede tutto
l’arco alpino occidentale dal Monviso al Monte Bianco. Stimo che siamo circa alla stessa altezza del Ciarforon e ciò mi
incoraggia perchè mancano solo 400 metri di dislivello. Superiamo un pendio che porta sul traverso ascendente finale che
percorriamo sotto gli spuntoni della cresta alla nostra destra.
Quasi al termine dell'ascensione dobbiamo salire sulle rocce accatastate che costituiscono la cima. C’è uno stretto passaggio tra
un masso e l’altro ma ci sono anche le cordate che scendono, salgono, si incrociano e si accalcano rendendo la progressione
spiacevole. Getto un veloce sguardo sul ghiacciaio della Tribolazione sotto di noi e sulla catena delle Alpi Pennine ma
purtroppo non fotografo avendo le mani guantate e impegnate per tenere la piccozza e per appoggiarmi alla roccia.
Sono quasi le nove quando arriviamo sulla cresta orizzontale che termina con lo spuntone con la “Madonnina”. Come davanti
alla Gioconda di Leonardo c’è una ressa di persone che si accalcano verso la Madonnina assieme ad altre che scendono. A darmi
fastidio non è la cresta da percorrere ma la calca e dietro di noi continua ad arrivare gente. Dico a Silvia di sganciarsi e
andare alla Madonnina, io la aspetto qui seduto su un roccione. Purtroppo la mia posizione è svantaggiosa per fotografare
verso la valle di Cogne. Qualche minuto più tardi vengo raggiunto da Silvia e cominciamo a scendere. Un altro veloce sguardo
alle montagne e vedo per un attimo vette aguzze che possono essere la Torre del Gran San Pietro o la Roccia Viva.
Tornati alla "schiena d’asino" ormai abbiamo deciso che scenderemo dal rifugio Vittorio Emanuele. Lasciamo a destra il vallone
glaciale che conduce allo Chabod, teatro della nostra salita, e percorriamo la “schiena d’asino” qualche metro sotto cresta.
Scendiamo poi per larghi pendii innevati a pendenza regolare che però mi sembrano piuttosto monotoni rispetto alla via di salita.
In discesa la neve è ottima ma comunque mi sento stanco. A circa 2900 metri, alle 11.15, facciamo una sosta dove poco alla volta
mi ritorna la voglia di mangiare perchè da qualche ora ero decisamente inappetente. Scendiamo lungo un canale nevoso di fianco
ad una morena e dove esso termina proseguiamo sul sentiero per il rifugio Vittorio Emanuele, dove compare il panorama classico della
testata della Valsavaranche.
La discesa dal rifugio è la parte più noiosa: i numerosi tornanti voluti dal Re per viaggiare comodo abbattono la pendenza allungando
molto il percorso. Al parcheggio di Pont rimane da scendere a recuperare l’auto. “Saranno 15-20 minuti” dico io. Silvia suggerisce di
cercare un passaggio in auto ma arriva la corriera e risolve il dilemma.
Si è trattato di una ascensione in linea con le mie possibilità del momento, facile ma non breve, condita da una piccola “variante” in salita,
valorizzata dall'aver percorso in discesa una via diversa da quella di salita, in un ambiente integro e su una montagna importante.